Con la chiusura della centrale di Ratcliffe-on-Soar, il Regno Unito diventa il primo paese del G7 a eliminare il carbone dalla produzione di energia elettrica. L’Italia, con quattro centrali ancora attive, prevede di abbandonare questo combustibile entro il 2027.
Il Regno Unito è il primo grande paese a smettere di usare il carbone per produrre energia elettrica, segnando la fine di un’era iniziata nel 1882, quando era stato proprio il primo al mondo ad attivare una centrale a carbone. Questo combustibile, che ha alimentato la Rivoluzione industriale e sostenuto l’economia britannica per oltre un secolo, è anche tra i più inquinanti. La decisione di abbandonarlo rappresenta un passo cruciale verso la decarbonizzazione del settore energetico e la lotta contro la crisi climatica.
Nel 2016, il governo del Regno Unito aveva preso l’impegno di cessare l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica entro il 2025. Tuttavia, in occasione della conferenza sul clima delle Nazioni Unite del 2021, tenutasi a Glasgow, ha deciso di anticipare di un anno questo obiettivo. Così, lunedì 30 settembre ha chiuso la centrale di Ratcliffe-on-Soar, tra Derby e Nottingham, l’ultima a carbone ancora operativa nel Regno Unito.
Inaugurata nel 1967, l’impianto sarà smantellato entro il 2030 e sostituito da un polo tecnologico a zero emissioni, come annunciato dal gruppo tedesco Uniper, proprietario della struttura. Negli anni ottanta, il carbone copriva quasi il 70% della produzione di elettricità britannica, ma nel 2023 la quota è scesa all’1%. Questo calo è stato compensato principalmente dal gas naturale, che oggi fornisce un terzo dell’energia elettrica del Paese, e da fonti rinnovabili come l’eolico (25%) e il nucleare (13%).
La chiusura di questa centrale segna un passo cruciale nel percorso del Regno Unito verso la decarbonizzazione completa del settore energetico entro il 2030 e l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 entro il 2050. Questo evento simbolico fa del Regno Unito il primo paese del G7 ad abbandonare completamente il carbone per la produzione di elettricità. Altri membri, come l’Italia e la Francia, hanno fissato il 2027 come scadenze per eliminare questo combustibile.
In altri paesi europei, la dipendenza dal carbone è molto più elevata: per esempio in Germania, nel 2023, il carbone ha generato il 27% dell’energia elettrica complessiva. In Italia, attualmente, sono operative quattro centrali a carbone. Tre di queste sono gestite da Enel e sono: l’impianto di Torrevaldaliga Nord, a Civitavecchia, la centrale “Federico II” di Brindisi e la “Grazia Deledda” a Portoscuso, in Sardegna. La quarta centrale attiva è quella di Fiume Santo, nei pressi di Porto Torres, anch’essa in Sardegna, gestita da Ep Produzione, del gruppo energetico ceco EPH.
Negli ultimi anni, alcune centrali a carbone sono state progressivamente chiuse. Nel 2021 è stata dismessa la centrale “Eugenio Montale” di Vallegrande, a La Spezia, seguita, alla fine del 2023, dalla chiusura della centrale “Andrea Palladio” di Fusina, vicino Venezia, entrambe gestite da Enel. Ad aprile 2023 ha interrotto l’attività anche la centrale di Monfalcone, in provincia di Gorizia, gestita dal gruppo A2A.
Le quattro centrali attive, tuttavia, sono sempre meno usate. Nel 2023, infatti, poco più del 5% dell’elettricità consumata in Italia è stata prodotta attraverso questo combustibile fossile. Nel mese di aprile, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha annunciato che le due centrali a carbone situate nel continente italiano, cioè quelle di Civitavecchia e Brindisi, saranno chiuse entro un anno. Quindi nel 2025. Per quanto riguarda i due impianti in Sardegna, il governo prevede un’interruzione definitiva dell’attività entro il 2027.