Esplorazione, accordi con l’Africa, capacità di raffinazione e recupero dai RAEE: l’Italia potrebbe ridurre di un terzo la dipendenza dall’estero e generare 6 miliardi di valore aggiunto entro il 2040. Materie prime come litio e silicio sono già centrali per l’economia italiana, coprendo il 32% del PIL. L’Italia potrebbe tagliare di quasi un terzo la sua dipendenza dall’estero per le materie prime critiche grazie a investimenti di 1,2 miliardi di euro, con l’obiettivo di generare oltre 6 miliardi di valore aggiunto per l’intera filiera industriale entro il 2040.
È quanto emerge dallo studio presentato a Roma durante l’evento “La road map italiana per le materie prime critiche”, organizzato dal gruppo Iren in collaborazione con TEHA Group. Lo studio sottolinea la rilevanza strategica delle materie prime critiche, risorse essenziali per lo sviluppo industriale e tecnologico, ma di difficile reperibilità. Questi materiali – come il litio per le batterie, il silicio per i semiconduttori e l’indio per i display – sono fondamentali per sostenere i settori ad alta innovazione, ma la loro scarsità rappresenta un problema cruciale per l’Europa, che al momento è fortemente dipendente dalle importazioni, soprattutto dalla Cina.
Il Paese asiatico, infatti, produce il 56% delle materie prime critiche importate in Europa, evidenziando un divario sempre più ampio tra gli investimenti europei e quelli cinesi. Nel 2023, l’Europa ha stanziato 2,7 miliardi di euro per il comparto delle materie prime critiche, a fronte dei 14,7 miliardi investiti dalla Cina nello stesso periodo. Questa disparità rischia di compromettere la sicurezza di approvvigionamento per l’industria europea, sempre più dipendente dalle forniture estere.
L’iniziativa italiana, secondo le proiezioni, mira a sviluppare una filiera autonoma e competitiva che rafforzi la sicurezza industriale del Paese e contribuisca a ridurre il gap di dipendenza dall’estero. Con investimenti mirati, l’Italia punta a ritagliarsi un ruolo chiave nella gestione sostenibile delle risorse e nella transizione verso una maggiore autonomia europea nel settore delle materie prime critiche. Lo studio traccia un percorso di sviluppo per l’Italia, in cui le materie prime critiche sono già oggi un elemento chiave per la competitività nazionale contribuendo a 690 miliardi di euro di produzione industriale del Paese, pari al 32% del PIL italiano, che corrisponde alla più alta incidenza sul prodotto interno lordo rispetto agli altri paesi.
Un dato, questo, che è il risultato di una crescita del 51% del contributo delle materie prime critiche alla produzione industriale in Italia negli ultimi 5 anni. Nella roadmap indicata dallo Studio, a rivelarsi cruciale per il percorso di sviluppo sulle materie prime critiche sarà la corretta valorizzazione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), rispetto a cui l’Europa rappresenta il continente che ne genera il maggior quantitativo pro capite (16,2 kg). Per incrementare e sostenere la competitività industriale del Paese in questo ambito vi sono quattro strategie operative: l’esplorazione mineraria, le partnership con i Paesi africani, la raffinazione e trattamento e infine, come già evidenziato, il recupero delle materiali e utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali.
La prima fa riferimento alla formulazione di un nuovo piano di esplorazione mineraria, che risponda a una visione integrata a livello nazionale e regionale e includa una strategia di consolidamento delle competenze minerarie e il rilascio dei titoli minerari. Fondamentale sarà poi rafforzare le partnership internazionali e in particolare con i Paesi africani, identificando linee di finanziamento ad hoc del Fondo del Made in Italy e valorizzando i fondi a disposizione nel quadro del piano Mattei per promuovere partnership paritetiche che favoriscano lo sviluppo industriale dei Paesi africani nell’estrazione e lavorazione delle materie prime critiche.
La terza proposta riguarda l’individuazione delle aree strategiche di specializzazione per l’Italia nella fase di processing delle materie prime critiche, unita alla promozione di meccanismi di coordinamento a livello dell’UE per ridurre la frammentazione. Secondo lo studio, lo sviluppo dell’economia circolare e dei processi di urban mining rappresenta la soluzione a breve più efficace. Per contribuire a questo obiettivo, una leva strategica sarà la crescita dei volumi di RAEE raccolti, il cui 70% non viene gestito correttamente per la scarsa presenza di centri di raccolta fruibili e la ridotta consapevolezza dei cittadini.
Altro propulsore di sviluppo per l’economia circolare è l’utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali. La mancata valorizzazione di queste ultime, infatti, comporta in Italia una perdita annua di oltre 1,6 miliardi di Euro di Materie Prime Critiche per l’industria nazionale, con un valore di export delle materie prime seconde che è cresciuto del 75% tra il 2018 e il 2022 a fronte di un aumento limitato dei volumi importati (+13%). Fondamentale, infine, sarà investire sulla capacità impiantistica e la realizzazione di nuovi impianti per il recupero e il trattamento, dato che ad oggi il 90% delle componenti dei RAEE da cui estrarre materie prime critiche viene esportato.
In Italia, infatti, gli impianti accreditati per il recupero e trattamento dei RAEE in Italia non sono adeguati alla gestione dei volumi prodotti (solo 47 impianti su 1.071 risultano accreditati, pari al 4,3%). In quest’ambito, Iren si pone come apripista di un percorso di sviluppo nazionale, avviato con la creazione della piattaforma RigeneRare e proseguito con la prossima inaugurazione dell’innovativo impianto in Valdarno, il primo in Italia per il trattamento dei RAEE diretto al recupero di metalli preziosi con processo idrometallurgico e una capacità di trattamento di oltre 300 tonnellate di schede elettroniche all’anno.